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Parola d’ordine: decarbonizzare

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Da otto anni torna puntuale il convegno YouBuild, che si focalizza sui temi più attuali dell’edilizia. Protagonista dell’ultima edizione, un argomento particolarmente “caldo”, ovvero l’impatto ambientale del settore delle costruzioni. Sono stati numerosi i progettisti, e non solo, che non hanno voluto perdersi questo importante appuntamento dal titolo: “Edilizia per il cambiamento climatico – diamo una chance alla Terra”, che si è svolto a Milano lo scorso novembre presso il il Centro Congressi della Fondazione Cariplo.

Moderatori dell’evento, Emanuele Naboni e Livia Randaccio, rispettivamente direttore scientifico e direttore editoriale di YouBuild.

I numerosi relatori hanno contribuito in maniera originale a comporre una visione globale di questa complessa problematica, offrendo una serie di spunti che fanno intravedere soluzioni possibili a una questione che non si può più ignorare. Volendo sintetizzare al massimo, il messaggio di fondo è: se non ci riconciliamo con la natura, il nostro futuro è a rischio. Per questioni di spazio, riportiamo solo alcuni degli interventi, cercando di tracciare una visione eterogenea.

Emanuele Naboni

Oltre la sostenibilità
In apertura dei lavori Emanuele Naboni, in riferimento a sé stesso, si limita a dire che un suo grande oggetto di interesse è come decarbonizzare e produrre salute, mentre è doveroso ricordare i suoi diversi incarichi accademici a livello internazionale, grazie alla grande competenza in materia di progettazione sostenibile, strategie di adattamento ai cambiamenti climatici, qualità degli ecosistemi, performance ambientale dei contesti e degli edifici urbani e salubrità umana. La persona ideale, insomma, per presiedere un evento che ha come oggetto l’edilizia e il suo impatto climatico.

Da adesso al 2030, avverte Naboni, si registreranno variazioni nelle temperature. A Roma, per esempio, sono previsti 5-6 gradi di aumento, e anche in altre città ci saranno ondate di calore. La cosa non sorprende, se si considera che un cittadino medio, in Europa, produce 15t di CO2 all’anno. Impossibile non pagarne le conseguenze.

Tradizionalmente, per sostenibilità si intendeva la possibilità di soddisfare le necessità del presente senza impedire alle generazioni future di fare altrettanto, ma questa definizione non è più coerente né concreta, poiché viviamo in un ambiente degenerativo a causa soprattutto delle costruzioni. È la CO2 l’agente che determina i problemi, quindi la parola d’ordine è decarbonizzare.

Livia Randaccio

Per prepararci ai nuovi pattern climatici, è meglio che il nostro corpo si adatti già negli edifici: abbiamo bisogno di ambienti dinamici, in grado di cambiare con le stagioni ma anche nell’arco della giornata. Solo così si può favorire l’acclimatamento umano, incrementando la nostra tolleranza, resilienza e capacità termoregolatoria. Si profila all’orizzonte un nuovo concetto di accettabilità delle temperature, tanto che Trenitalia ha deciso che nel 2050 i suoi convogli non sanno più dotati di impianti di condizionamento.

È incoraggiante il fatto che tutte le forme di vita vegetali possano portare a un bilancio di assorbimento di carbonio, ha spiegato Naboni, e che un layer vegetativo sano applicato agli edifici consenta un sensibile risparmio energetico, anche del 50%. Molto consigliabile quindi un intenso sfruttamento del potere raffreddante della vegetazione esterna, però bisogna anche considerare altre scelte di tipo costruttivo, che integrino i prodotti circolari in edilizia, fino ad arrivare all’adozione di prodotti rigenerativi.

Come esempi virtuosi, Naboni ha citato due realtà nelle quali è coinvolto direttamente: la prima si trova in Arabia, a Riyad, dove è in fase di realizzazione un insediamento ecologico di 20 km2. Includerà l’edificio detto Mukaab (cubo, in arabo), la costruzione singola con il volume maggiore a livello mondiale, ovvero un cubo con lato di 400m. Il termine dei lavori è previsto per il 2030. Sarà una vera e propria città indoor a clima controllato, circondata da aree verdi, con piste ciclabili e sentieri pedonali. Sul tetto dell’edificio, un grande giardino pensile, e nella parte interna del cubo, una torre a spirale con terrazze panoramiche e ristoranti.

L’accademico è consulente anche del Campus svizzero EPFL (École Polytechnique Fédérale de Lausanne), nome con cui è stata ribattezzata nel 1969 l’École Spéciale de Lausanne, fondata nel 1853. Si tratta di una vera istituzione nell’ambito della scienza e della tecnologia, basata sull’insegnamento, la ricerca e l’innovazione, che ha fatto della sostenibilità uno dei suoi focus strategici, con l’obiettivo di avere un impatto concreto sulla società.

livMatS Biomimetic Shell foto Roland Halbe Universita di Stoccarda

Eco allarme
Toni più allarmistici sono stati scelti dall’architetto Moreno Pivetti, titolare dello studio MPA (Moreno Pivetti Architecture), secondo il quale si può parlare addirittura di olocausto ecologico. Non c’è contrapposizione tra natura e cultura, dice: entrambe dipendono dalle attività umane, e noi siamo in parte figli dell’antropocentrismo eurocentrico che ha generato la cosiddetta età del progresso, responsabile dell’ecodistruzione. Riaffiliarsi alla natura sembra essere un imperativo, anche perché, curando l’ambiente, l’uomo cura sé stesso. Dobbiamo rivedere i nostri sistemi produttivi, e rinunciare alla nostra dominazione sulle altre forme di vita del pianeta. Compito del progettista del futuro sarà far convivere l’uomo con il conto antropico che la natura gli sta già presentando, consistente in emissioni di gas serra. Secondo Pivetti, siamo alle soglie di una nuova guerra dei 30 anni, dato che nei prossimi tre decenni ci saranno 3 miliardi di persone in più sulla Terra: la prova di resilienza andrà combattuta a fil di logica, non a fil di spada, con soluzioni ecorealiste che trovino una risposta alla dicotomia uomo-natura, creando nuove urbanità in cui coltivare biodiversità.

Un rendering del Mukaab foto Salman Al Mazini

Con Davide Caspani, architetto paesaggista e direttore di Land (Landscape Architecture Nature Development) Suisse, il focus si è spostato sul territorio, pesantemente influenzato dai cambiamenti climatici. La nostra via d’uscita, ha ammonito il progettista, è far sì che la natura sia funzionale allo sviluppo delle città, e per questo servono strumenti di pianificazione e di progettazione adeguati quali il GIS (Geographic Information System), che permette di mappare lo stato di fatto e l’estensione degli ecosistemi, determinandone accessibilità, equità, dimensione sociale, rischi e criticità ambientali, oltre a performance e servizi ecosistemici. Il LIM (Landscape Information Modelling) è un altro strumento importante. Si basa sul più noto BIM (Building Information Modelling), e fornisce i parametri per la misurazione delle performance e della sostenibilità del progetto (mitigazione del cambiamento climatico, gestione del verde e dell’acqua, qualità dell’aria), oltre a consentire di progettare e valutare diversi scenari temporali.

Meno riscaldamento e raffreddamento
Il contributo dell’architettura alla sostenibilità è la sua longevità, sostiene Giulia Maria D’Arco, architetto dello studio austriaco Baumschlager Eberle, che ha uffici sparsi nel mondo per essere locali ovunque. Per loro un edificio deve durare almeno 100 anni, e bisogna costruire di meno e ristrutturare di più, poiché anche la demolizione inquina. La temperatura interna ideale? 22-26 gradi rappresentano la fascia di comfort per Baumschlager Eberle. Il loro primo edificio 2226 è il loro quartier generale di Lustenau, in Austria, che rappresenta in pieno l’espressione dell’approccio architettonico che li caratterizza. L’obiettivo era realizzare una sede efficiente sotto l’aspetto energetico, e offrire un ambiente di lavoro confortevole ma privo di riscaldamento, ventilazione o raffreddamento convenzionali. Ne è risultato un edificio in mattoni con pareti spesse, soffitti alti ed eleganti finestre verticali. La profondità della facciata e le geometrie delle stanze e delle finestre consentono uno sfruttamentro ideale della luce diurna. La stabilità della temperatura è garantita dalla massa termica dell’edificio stesso, che è dotato di un sistema operativo che effettua misurazioni continue, interne ed esterne, con la gestione indipendente di ogni spazio. Il riscaldamento si basa sui carichi interni (persone e attrezzature), mentre l’ingresso dell’aria fresca avviene attraverso l’apertura automatica delle bocchette di ventilazione termica. Inoltre, in ogni singola stanza la presenza di CO2 e l’umidità sono controllate costantemente dal sistema di ventilazione naturale automatizzata.

La sede austriaca dello studio di Bauschlager-Eberle, (foto Bauschlager-Eberle)

Nel capitolo “buone notizie” va annoverato l’intervento di Dante Parisi, Eco Brand Manager di Heidelberg Materials Italia (ex Italcementi), che ha presentato Evo Zero, il primo cemento al mondo a bilancio azzerato di emissioni di CO2. La novità è particolarmente incoraggiante, poiché questa è un’industria che inquina molto, soprattutto nella fase di calcinazione. L’impianto che produrrà Evo Zero è situato in Norvegia e partirà quest’anno.

Sempre di cemento, ma unito al legno, ha parlato Vittorio Salvadori di Cree Buildings, azienda che realizza nuove costruzioni in maniera particolarmente veloce utilizzando il legnocemento prefabbricato. La tecnologia viene dall’Austria e consente una certa libertà progettuale, dato che la facciata non è portante. Gli elementi in legnocemento sono leggeri e permettono di integrare gli impianti. Con un metodo di costruzione come questo, ibrido in legno, i vantaggi si riscontrano in termini di efficienza, stabilità strutturale, e anche di estetica. È possibile realizzare 4mila m2 di edificio in 10 giorni (400 m2 al giorno) con pochi addetti in cantiere. Unico problema sono i costi, in particolare il valore elevato dell’X-lam, per cui questa tecnologia risulta competitiva solo per edifici di dimensioni importanti, a partire dai 3mila m2.

Futuro avveniristico
Un salto nel futuro con Francesco Sommese, che si occupa di involucri edilizi adattivi al clima presso l’Università Federico Secondo di Napoli. Afferma che oggi gli edifici vanno pensati come elementi dinamici in grado di interagire con l’ambiente, e le parole chiave sono adattività, digitalizzazione e automazione. Il principio base è quello del biomimetismo, ovvero l’emulazione della natura. La gestione digitale dei dati consente di rendere i progetti più efficienti, sicuri e sostenibili. Questo si ottiene facendo ricorso a strumenti quali IoT (internet of things), BIM, realtà aumentata e virtuale, digital twin (gemello digitale), progettazione parametrica e altri ancora. Qui entrano in gioco robot, esoscheletri, stampa 3D, droni ecc. Un esempio perfetto di edificio adattivo è l’avveniristico livMatS Biomimetic Shell, realizzato nel 2023 dall’Università di Friburgo in base al concetto di co-design, che unisce i più attuali ed emergenti sistemi di progettazione e costruzione, materiali intelligenti e tecnologie digitali avanzate, in grado di indirizzare il settore delle costruzioni verso la neutrailità climatica. livMatS Biomimetic Shell è dotato di un sistema di schermatura adattivo, che usa come trigger la variazione luminosa. Non ci sono sensori né attuatori, ma tutto è deputato alle proprietà intrinseche del materiale intelligente. La regolazione automatica del clima all’interno dell’edificio avviene avviene sfruttando le caratteristiche dei materiali a base biologica, prodotti tramite un processo 4D, che implica la curvatura di ciascun elemento in maniera autonoma, adattandosi alle variazioni dei cicli stagionali e giornalieri, e quindi rispondendo passivamente, cioè senza l’utilizzo di energia aggiuntiva, agli stimoli esterni.

Se i fatti fanno ben sperare
Concludiamo con una nota ottimistica grazie ad Andrea Rossi di A-fact (Architecture Factory), studio di architettura con sedi a Milano e Londra. Loro fonte di ispirazione è il famoso libro “Factfulness” di Hans Rosling, che si ripropone attraverso i dati, cioè i fatti, di smontare la visione pessimistica che domina nel mondo, propugnandone una costruttiva. Come operano? Raccolgono, elaborano e trasformano dati contestuali in idee di architettura integrata per progettare ogni caso singolarmente, affrontando le sfide ambientali, economiche e sociali in vista di un più fattuale paradigma di circolarità e di una rinnovata armonia con la natura. Si dichiarano consapevoli, come architetti, della propria responsabilità di immaginare e modellare edifici, città e spazi flessibili, capaci di ospitere un futuro di prosperità e le sue possibili evoluzioni. Questo è ciò che loro chiamano a-factor.
Articolo di Lucia Carleschi

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